Natura contrattuale della responsabilità medica

Il ricovero di un paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria avviene sulla base di un contratto tra il paziente stesso ed il soggetto gestore della struttura. L’adempimento di tale contratto, con riguardo alle prestazioni di natura sanitaria, è regolato dalle norme che disciplinano la corrispondente attività del medico nell’ambito del contratto di prestazione d’opera professionale, con la conseguenza che il detto gestore risponde dei danni derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa, alla stregua delle norme di cui agli artt. 1176 e 2236 c.c. Il positivo accertamento della responsabilità dell’istituto postula, pertanto, (pur trattandosi di responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di onere della prova, che grava, per l’effetto, sull’istituto stesso e non sul paziente), pur sempre la colpa del medico esecutore dell’attività che si assume illecita, non potendo detta responsabilità affermarsi in assenza di tale colpa (fatta salva l’operatività di presunzioni legali in ordine al suo concreto accertamento), poiché sia l’art. 1228 che il successivo art. 2049 c.c. presuppongono, comunque, un illecito colpevole dell’autore immediato del danno, di talché, in assenza di tale colpa, non è ravvisabile alcuna responsabilità contrattuale del committente per il fatto illecito dei suoi preposti.

(Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2001, n. 6386)

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Prestazione medica routinaria e onere probatorio

In tema di responsabilità del medico chirurgo, nel caso di prestazione “routinaria”, incombe sul paziente l’onere di provare che l’intervento era di facile o “routinaria” esecuzione mentre al professionista spetta provare, al fine di andare esente da responsabilità, che l’insuccesso dell’operazione non è dipeso da un difetto di diligenza propria.

(Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2001, n. 2335)

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Condotta omissiva e nesso di causalità

In tema di responsabilità per colpa medica, quando questa sia costituita dalla mancata attuazione di interventi diagnostici o terapeutici e si verta, quindi, in ambito di causalità omissiva, la ritenuta sussistenza del nesso causale tra condotta colposa ed evento non può che fondarsi su di un criterio probabilistico, non essendo mai possibile, in questi casi, esprimere un giudizio di certezza sull’esito positivo che i suddetti interventi avrebbero potuto avere. Ciò significa che l’affermazione di responsabilità, per un verso, non può basarsi su un mero giudizio di possibilità; per altro verso può invece fondarsi sulla riconosciuta esistenza di quelle che, tradizionalmente, vengono definite come serie ed apprezzabili probabilità che la condotta omessa avrebbe evitato il prodursi dell’evento.

(Cass. pen., sez. IV, 5 ottobre 2000, n. 13212)

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Obbligo di informazione in capo al medico di fiducia

Il medico di fiducia, benché non possano essergli imputate le carenze della struttura pubblica presso la quale egli svolge le funzioni di medico ospedaliero nè le condotte colpose di altri dipendenti dell’ente connotato da regole organizzative insensibili al rapporto privatistico tra medico e paziente, ha tuttavia l’obbligo di informare il paziente dell’eventuale, anche solo contingente, inadeguatezza della struttura, nella quale è inserito e presso la quale il paziente stesso sia ricoverato, tanto più se la scelta sia effettuata in ragione proprio dell’inserimento del medico di fiducia in quella struttura pubblica, sia di prestare al paziente ogni attenzione e cura che non siano assolutamente incompatibili con lo svolgimento delle proprie mansioni di pubblico dipendente.

(Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2000, n. 6318)

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Responsabilità del primario

Ulteriore compito che la legge assegna al medico appartenente alla posizione apicale è quello di controllare che il personale a lui subordinato operi in modo corretto e adottare le cautele che mirino a scongiurare danni a carico degli assistiti. Si viene, così, a profilare un altro tipo di addebito: la c.d. culpa in vigilando.

(Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2000, n. 6318)

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